COLPO DI CHETTA – LA NUOVA RUBRICA DI MAREMMA CHE CICCIA inizia con il botto!
BUTCHER MODERNO CHE AFFILA GLI HASHTAG? O MACELLAIO TRADIZIONALE CHE FA ROTEARE LE MANNAIE? TU DA CHE PARTE STAI?
Benvenuti nella nuova rubrica di Maremma che Ciccia: Colpo di Chetta. Da oggi, il nostro amico, ‘CHETTA’, terrà un appuntamento fisso dove cercherà di mettere un po’ di polemica: riflessiva ma moderata. Insomma, un po’ di ‘sale e pepe’ per uscire dagli schemi e farci riflettere un po’ fuori dagli ordinari habitat.

Vi presento, anzi, oserei dire chi già non lo conosce, il butcher Antonio Chetta, classe ’83, macellaio torinese nella storica macelleria del mercato Torinese in Corso Sebastopoli Macelleria Da PremioeAntonio. La sua, una lunga storia di tradizione familiare, ancora oggi tramandata e sostenuta dalla conoscenza del Padre Premio, sempre in grande forza manuale e intellettuale.
Fin dalle prime luci di Maremma Che Ciccia, Antonio ha avuto un ruolo importante nella crescita del Blog. Prima da intervistato, poi in veste di inviato e Voce di Maremma Che Ciccia. Oggi, finalmente, Antonio Chetta diventa una firma ufficiale del nostro amato format di informazione, conquistando una rubrica mensile tutta sua, dove cercherà di scuotere il mondo Meat con riflessioni e informazioni al quanto piccanti.
Ecco che nasce la Nuova RUBRICA – COLPO DI CHETTA, una voce dove al centro ci sarà solamente il bene della CATEGORIA… e non solo. BUONA LETTURA
ARTE DEL DISSOSSO O DELLO SMARTPHONE?
Il rito della resa dei nostri vitelli si perde sin dalla notte dei tempi. Se in un primo tempo si era soliti guardare la resa del bestiame dopo la macellazione, con il passare degli anni si è perso l’uso di macellarsi il proprio capo ma si è mantenuta questa consuetudine dopo la lavorazione nei propri laboratori.

Si sa, il nostro lavoro – o arte come lo si vuole chiamare – è molto competitivo. Cosi come dopo una battuta di pesca si gioca a chi l’ha tirato su più grande, noi macellai non ci siam mai fatti mancare discussioni su chi ha saputo disossare meglio.
Ancora oggi girando su svariati gruppi su Facebook si possono notare colleghi che con il petto in pompa magna espongono le foto dei propri lavori, le carcasse limate o meglio smerigliate con quelle ossa lucide che paiono appena uscite da un museo di botanica vengono esposte come dei trofei.
Alle volte sorrido, altre no, nel leggere i svariati commenti dietro ciò che rimane di un reale o di un bian costato dopo le varie operazioni di disosso. Da una parte troviamo coloro che con qualche capello grigio in più in testa sottolineano come ai loro tempi mai e poi mai sarebbe potuto accadere che un bòcia (apprendista in quel del Pieomente) sarebbe potuto andare avanti nel mestiere se non avesse perfezionato l’arte del disosso. Poi dall’altro lato ci sono i Millenial della nostra categoria, che anche se con qualche grammo di polpa di scarto in più ma con un hashtag o campagna marketing mirata, ribattono affermando di poter vendere meglio quel prodotto tramite un arma molto più affilata del coltello, ossia il web.
Se alla bottega del mastro artigiano bastavano solo la sua insegna e la sua conoscenza, oggigiorno gli artigiani 2.0 o 3.0 o 4.0 (non so più dove siamo arrivati) sono legati da un cordone ombelicale ad un unica parola, essere sempre “connessi”. Presenti costantemente in rete con un unico obiettivo, riuscire a catturare i propri clienti a 10, 100, 1000 km di distanza cosa impossibile al maestro di bottega tramite una foto, una frase ad effetto o ad un video.

IL BIVIO DELLA RAGIONE
Ci troviamo davanti ad un bivio, imparare da chi è 50 anni davanti ad un tagliere e valorizzare il lavoro manuale ma che punta sempre sulla stessa clientela o buttarci su corsi di marketing e iniziare a parlare di funnel affinity names ecc ecc.

Dove sta la verità? Chi ha ragione. Sul web girano molti nomi famosi, più o meno ogni regione ha un punto di riferimento, se la Lombardia vanta un certo Motta, l’Emilia Romagna risponde con un Rizzieri; se la Toscana cala un certo Laganga la Puglia non si tira in dietro e butta giù l’asso Camassa. Io che sto scrivendo e voi che state leggendo di certo questi nomi li avete sentiti almeno una volta nella vostra vita, di loro possiamo dire che sono dei grandi professionisti, ma l’abbiamo mai visti lavorare? No!!! Eppure la stima per questo poker d’assi e altissima, a cosa devono tutto questo successo.
Come mai Motta è il re delle frollature se la maggior parte di noi non ha mai mangiato una sua bistecca?!? Perché Laganga è considerato da tutti noi il re indiscusso dei MEAT social e fondatore del movimento “Butcher“ seppur molti di noi non hanno messo piede nella sua macelleria?!?
Come mai Rizzerei è conosciuto dalla punta Helbronner del monte Bianco fino alle pendici dell’Etna lavorando in un paese conosciuto dai più giusto perché ha sede la sua macelleria?
E infine come mai il nome di Camassa echeggia per l’intero globo fin a diventare una tra i migliori Butcher del mondo nonostante la sua macelleria sia all’interno di un paese di sole 30000 persone? A cosa devono il loro successo?
Avranno ragione le nuove leve che con un hashtag si può conquistare il mondo mentre l’arte del disosso è destinata a morire.
Oppure è l’arte del disosso a farla da padrona nei nostri negozi?
ASPETTIAMO LA TUA VOCE
Ora il coltello passa a voi. Siamo curiosi di conoscere i vostri PENSIERI e le vostre ‘VERITA” dettate anche dalle vostre differenti esperienze. Da sempre sono un sostenitore dell’importanza del CONFRONTO di categoria, perchè solo così potremmo conoscere a pieno quale sia la strada giusta da percorrere insieme. Sempre se esista veramente una strada GIUSTA da perseguire! Ti aspettiamo nei COMMENTI!

Ai posteri l’ardua sentenza! E da CHETTA… per oggi è tutto alla prossima!!
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