STORIE D’ITALIA – CAPITOLO VII – VENETO DA GRIGLIARE
Agosto, si griglia ad ogni COSTO
Benveeenuti finalmente ad AGOSTO, mese del mare, delle ferie Italiane e perché no? Delle grigliate in famiglia.
Perché diciamoci la verità, ci ‘alleniamo’ tutto l’anno, testando tecniche e tagli anatomici differenti dal solito per poi sfoggiarle alla perfezione nelle calde serate d’estate.
Ogni mese ci piace iniziare andando alla scoperta di una delle regioni del nostro bel paese. Ma quale regione scegliere per renderla portavoce della cultura della griglia tricolore?
Un dilemma non facile, una scelta difficile dettata come sempre dalla svariata multi cultura presente in ogni angolo della nostra nazione ma si sa, a noi piace rischiare e mettere sempre del pepe nelle nostre ricette… e la scelta è stata fatta.
BENVENUTI IN VENETO, una delle regioni cult per la cultura della griglia e precursore del mondo bbq in Italia.
Una regione sicuramente completa e complessa che comprende al suo interno molte forme del paesaggio naturale: dalla fascia costiera affacciata sull’Adriatico alla pianura veneto-friulana, che poi si innalza nei dodici rilievi dei Colli Euganei e dei Colli Berici, fino ad arrivare alle Alpi nella parte più settentrionale comprendendo la maggior parte delle Dolomiti. E proprio per questa sua complessità che ha determinato un vasto assortimento di ricette culto della propria tradizione. Dal baccalà, al riso, ai formaggi di Asiago, al famoso fegato alla veneziana, alla polenta in ogni dove… insomma, un tutto e fatto bene.
Se vogliamo mettere un puntino sulla cartina dell’Italia, identificando un po’ il punto cardine da dove la griglia e il mondo bbq è diventato una voce forte in Italia, sicuramente pensiamo a questa regione. Senza fare nomi, qui nascono alcuni dei migliori pit master divenuti oggi portavoce della carne al bbq, TEAM che hanno gareggiato per primi nei campionati europei a colpi di ciccia e brace… e da qui si è iniziato a parlare di cultura del fuoco in tutto lo stivale.
Naturalmente questo è solo un piccolo pretesto frutto delle nostre conoscenze… non ce ne vogliate a male. Anche perché si sa, in ogni dove c’è profumo di griglia e ognuno di noi la sa fare bene e in modo molto rappresentativo. Ma c’è una ricetta semplice e gustosa che mi ha colpito e che vi voglio raccontare.
LA GRIGLIATA VENETA
Chi ha un amico o parente veneto, sa che gli odori inebrianti di carni alla griglia e profumo di braci non possono mancare durante i pranzi e cene all’aria aperta.
In Veneto questo tipo di appuntamenti sono spesso legati alle festività di Pasquetta, ma anche del 25 Aprile, non solo giorno della Liberazione, ma anche Festa di San Marco, patrono di Venezia. O ancora per il 1 Maggio: tutti ottimi pretesti per mettersi a grigliare della buona carne all’aria aperta, assieme ad un buon bicchiere di vino o della birra rinfrescante.
Ma prima, una questione importante…
CHE TIPI DI CARNE
Per una grigliata tradizionale si utilizzano spesso carni di manzo e di maiale (come la braciola, la coppa e, ovviamente, la pancetta) ma anche carni bianche come il pollo o il galletto.
Quando invece si fa il barbecue, si utilizza il famoso “T-bone” di manzo per la fiorentina, mentre per il maiale si prendono le costicine, che gli americani chiamano “bbq ribs”, mentre qui sono più abituati a chiamarle “ossetti”, nel solco della tradizione e che solitamente poi ritroviamo nelle innumerevoli sagre estive paesane.
Anche se il vero tocco nostrano è quello di mettere ad abbrustolire sopra le griglie roventi delle belle fette di salame veneto tagliate belle grosse.
Ecco, per noi TOSCANI il salame è solo il nome del tipico insaccato di maiale da mangiare a fette una volta stagionato.
Ma questa cosa del salame alla griglia anzi, ai ferri, ci ha stuzzicato talmente l’appetito da cercare approfondimenti per poter replicarla a casa nostra.
IL SALAME AI FERRI
Il Salame fresco ai ferri, rigorosamente accompagnato da fette di polenta, è sicuramente un piatto della tradizione veneta.
Nell’alimentazione contadina, il maiale, insieme al pollame, costituiva la principale fonte di proteine animali. Per poter garantire una migliore conservazione delle carni da lavorare, la macellazione del maiale avveniva nel periodo più freddo dell’anno, tra dicembre e gennaio.
STORIA
Sino al ‘900 “fare su el porseo” era un privilegio di pochi. La carne di maiale era destinata alle classi più benestanti, mentre i meno agiati ed i contadini dovevano accontentarsi dei fagioli, la cosiddetta “carne dei poveri”.
L’allevamento casalingo rappresentava un modo di vivere la “corte” di casa; tutti i membri della famiglia si dedicavano alla sua cura e crescita. I bambini e le donne erano incaricati alla sua nutrizione, compito non certo difficile, dato che il maiale si accontentava di gustare gli avanzi della corte.
Al capofamiglia, invece, spettava il compito importante di controllarne la grassezza, perché il suo peso e la rendita delle sue carni sarebbero state una sicura alternativa ai momenti di carestia dei mesi invernali.
Dopo mesi di cure, che andavano dalla primavera a dicembre, con gennaio arrivava l’ora di uccidere l’animale. Questo era il momento più atteso dell’anno ed era considerato un vero e proprio rituale.
Del maiale, come sappiamo, “non si butta via niente” e così, subito dopo la macellazione, veniva “assaggiato” cuocendone le ‘animelle‘, le ‘rifilature‘, cioe’ i pezzetti di carne che si ottenevano lungo il taglio di sezionatura della bestia, e i sanguinacci (il sangue cotto), fino alla preparazioni di stagionati e insaccati da conservare durante l’anno.
Insomma, il rito della morte si trasformava in una festa, un evento in cui si coinvolgevano amici e parenti.
COME NASCE
Il salame fresco, il “salado” rientra nell’antica tradizione culinaria del Veneto, sempre presente poi nella tavola delle feste del carnevale.
Questo particolare insaccato è caratterizzato dall’essere meno stagionato e, quindi, più morbido degli altri, un po’ più grasso, ed è usato in cucina in maniera diversa rispetto agli altri salami: può essere quasi spalmato, condire minestre e sughi, oppure ai ferri.
Prodotto utilizzando la selezione migliore delle carne di maiale, cioè la polpa senza terminazioni nervose, alla quale, se risulta un po’ magra, viene aggiunto un po’ di lardo, affinché il prodotto risulti morbido. A questo si aggiunge il sale grosso tritato e la concia, poi pepe, cannella e chiodi di garofano.
Il tutto viene poi inserito nei budelli abbastanza piccoli (6-7 centimetri di diametro, per un peso di 700-800 grammi) punzecchiati con la “sponciròla” per far uscire il liquido e l’aria che impedirebbe alle componenti di aderire e viene legato solo alle estremità.
Si lasciavano asciugare in luoghi secchi, una volta era vicino al focolare, per poi riporli in ambienti umidi, freschi e bui per la conservazione. Si consumano freschi, da 3-4 giorni fino ad un mese, previa cottura; dopo di che si considerano “salami” e si gustano tagliati a fette, per circa 3-4 mesi.
Il costume tradizionale di questo “salado” è quello con la cottura alla griglia servito con polenta abbrustolita
RICETTA
Una ricetta e una preparazione veramente facile e veloce quanto gratificante. Si tagliano fette da mezzo centimetro l’una e si uniscono tra loro con uno spiedo lungo. Adagiate sul calore vivo delle braci, si fa scottare su tutti i lati mentre, vicino, facciamo dorare delle fette di polenta preparata nei giorni precedenti.
Dopo una veloce scottata delle fette di salame, ecco che vengono adagiate sopra alle fette di polenta ben abbrustolita, una spruzzata di aceto balsamico e via, il gioco è fatto. Ci sono sicuramente molte varianti e abbinamenti da fare e scoprire per questa semplice preparazione. Ma la bontà del salame ai ferri rappresenta un patrimonio della cultura Italiana e VENETA da diffondere e provare.
Che dite?!
Parola del Butcher!