FLASH ROASTING: COS’È E COME USARLO PER LE NOSTRE BISTECCONE
Quanti metodi per cuocere degnamente una bistecca? Pronti per scoprire IL metodo veloce e sicuro?
Ben ritrovati al nostro appuntamento con Maremma che BBQ, la RUBRICA di Maremma Che Ciccia pronta a traghettarvi nel mondo segreto del BARbeCUE ma, con gli occhi dei BUTCHER.
Oggi, il nostro BBQ-Butcher Marcello Iuculano ci porterà alla scoperta di un metodo sicuro per cuocere una bella BISTECCA senza errori. Un argomento particolarmente interessante, in grado di “stuzzicare” la curiosità di qualunque appassionato di carne in cucina: il Flash Roasting.
Pur avendo la stessa funzione del SousVide (CLICCA QUI SE TE LO SEI PERSO) e del Reverse Searing, il flash roasting è ad oggi sicuramente il metodo di “preparazione” alla cottura veloce della carne più diffuso. Possiamo dire con certezza che qualunque appassionato di barbecue e grill moderno l’abbia “tentato” almeno una volta.
Questo fondamentalmente per quattro ragioni:
- Non costa nulla;
- È facilissimo;
- Rispetto a sousvide e reverse searing permette di risparmiare un sacco di tempo;
- Migliora significativamente la qualità del prodotto finito.
Due bistecche identiche, una lavorata in flash roasting e l’altra no, al palato sono davvero tutta un’altra storia.
Due bistecche identiche, una lavorata in flash roasting e l’altra no, al palato sono davvero tutta un’altra storia.
FLASH ROASTING
Per molti, il flash roasting, il sousvide e il reverse searing, non sono altro che precotture. Paradossalmente invece, si usano proprio per evitare di andare in overcooking, rendere la cottura omogenea e la carne più tenera possibile – l’opposto di una bistecca ben cotta.
Sousvide e reverse searing si basano sull’esposizione della carne ad un calore moderato (50-55°C) per molto tempo. Nel primo si applica in sottovuoto (anche con condimenti) e a bagnomaria, mentre il secondo in barbecue – o, al limite, in forno.
Il flash roasting invece, nella fase preparatoria si esegue a temperature ben superiori e per meno tempo. Parliamo di 140 °C circa, per i minuti sufficienti a far giungere il taglio alla temperatura scelta prima della cottura. L’uso della sonda, ripeto, è imperativo.
Ma il flash roasting non è tutto qui. Esso richiede anche altre fasi di preparazione, che servono a migliorare anche la palatabilità della nostra fiorentina, e impone di utilizzare una successiva cottura diretta a temperature sufficientemente elevate (180-190 °C) – sempre per il tempo idoneo, valutabile col nostro termometro sonda e stimando l’inerzia termica teorica.
Prima di ogni cosa dunque, dopo aver scelto un bel taglio frollato e averlo fatto mondare dal nostro macellaio di fiducia, è essenziale condire la carne. Alcuni scelgono anche di applicare un dry brining, ovvero una salatura in misura di 5 g / kg da cospargere per disidratare leggermente la superficie della carne.
Poi, una cosa è certa: se volete ottenere l’effetto bark, ovvero la maillardizzazione superficiale che consiste in una crosticina croccante e saporita, non potete fare a meno di un buon rub – anche casalingo – o comunque un po’ di zuccheri semplici (anche da tavola).
Usando come aggrappante una spennellata di burro fuso, procediamo dunque a rubbare la nostra bisteccona in misura proporzionale all’intensità organolettico-gustativa che vorremo ottenere.
È proprio a questo punto che possiamo andare in BBQ preriscaldato con 140°C in camera (usando i bricchetti, ne saranno sufficienti una quindicina). Ribadiamo che il tempo è variabile; esistono dei sistemi per capire, più o meno, come orientarsi; con un termometro sonda ben piazzato tuttavia, si “taglia la testa al toro”.
Ma il flash roasting non finisce qui.
Ipotizzando di voler preparare una bistecca al sangue – che per me è < 50°C – la preparazione può essere interrotta a circa 37°C al cuore.
A parte, ovviamente, avremmo pronta una riserva di braci incandescenti (almeno altre 10 bricchette), nel caso in cui quelle nel dispositivo non abbiano la forza necessaria.
Per chi non si accontenta, la bistecca può essere ulteriormente “arricchita d’amore” con ulteriore burro fuso profumato; questo passaggio dev’essere abbastanza rapido, così come veloce dev’essere il settaggio a 180-190 °C del dispositivo.
Attenzione! Perché abbiamo parlato di ulteriore settaggio? Non è una cottura diretta quella delle nostre bistecche? Sì, ma possiamo eseguirla anche a coperchio chiuso, sempre con l’uso del termometro sonda! Piuttosto che usare il triplo del carbone e far saltare la fiorentina “come un grillo” sul fuoco dell’inferno, possiamo scegliere di usare più “grazia” girando il taglio solo 3-4 volte – a seconda ovviamente dello spessore – trasmettendole anche il calore per convezione (coperchio chiuso).
Non dimentichiamo che rimane il rischio di bruciare la superficie, che diverrà molto più scura del normale per la presenza dei carboidrati!
Questo sistema ha il vantaggio di cuocere meno all’esterno la carne, ideale per i maxi-tagli, con il risultato di strizzare meno il collagene – perdendo meno liquidi – e ridurre l’effetto negativo dell’unghiatura tra l’esterno e l’interno.
Non dimenticate di stimare sempre 2-4 °C di inerzia, quindi tirate giù il “bisteccone” prima che la sonda rilevi la temperatura scelta – attenzione perché grazie al pre-riscaldamento, la temperatura cresce molto più velocemente del normale!
Ma, a proposito, quali sono i tagli più adatti alla cottura veloce? Ne abbiamo già parlato in altri articoli precedenti; tuttavia, una “ripassatina” non fa certo male! Giusto per non lasciare nulla di intentato! Let’s go!
FIORENTINA E CO.
In Italia, la bistecca al sangue “per definizione” è quella alla Fiorentina. Nulla in contrario, ovviamente – anche se personalmente rimango dell’idea che pure altri tagli, come ad esempio il reale (che ricordiamo essere un anteriore), possano regalare delle emozioni più uniche che rare.
D’altro canto il Mondo è grande. All’estero, chiedendo una Fiorentina in ristorante, ci verrebbe presentata una ragazza di origini toscane! Scherzi a parte, tagli simili vengono definiti con nomi completamente diversi.
Avete mai sentito parlare di T-bone, porterhouse, rib eye o altro? Vediamole assieme.
COS’È LA BISTECCA ALLA FIORENTINA?
Per bistecca alla fiorentina si intende un taglio anatomico composto da osso (mezza vertebra tagliata “per il lungo”), muscolo di lombo e muscolo filetto. Il taglio è molto più spesso di quelli originari anglosassoni – poi acquisiti in America e in Australia, con relative modifiche.
Senza filetto è definita semplicemente “costata” – con l’osso, ovviamente.
La bistecca alla fiorentina ha origini incerte. Nel senso che, se da un lato è inoppugnabile che la sua diffusione all’interno del (futuro) Bel Paese abbia avuto luogo partendo dalla capitale mondiale del Rinascimento, dall’altro si ha modo di credere che i primi a diffonderne il consumo furono alcuni cavalieri inglesi proprio in visita a Firenze… ma a noi, tutto sommato, non interessa.
COS’È LA T-BONE?
È una domandona. Anzitutto, “T” indica la forma dell’osso.
Sappiano i gentili lettori macellai che “non mi intrigherò” in una descrizione articolata sulla differenza di taglio tra noi italiani e gli inglesi, gli americani e gli australiani. Sarebbe una follia riassumerla semplicemente in poche righe.
Diciamo solo che la t-bone è una bistecca molto simile alla nostra fiorentina; usando i loro termini, essa include, oltre all’osso vertebrale tagliato, lo short loin (o sirloin) ed il tenderloin – quest’ultimo (filet mignon, se separato dalla bistecca), come la nostra fiorentina, è in misura variabile a seconda del punto di taglio.
In linea generale però, molto raramente la T-bone raggiunge dimensioni ragguardevoli; nelle steakhouse si servono prevalentemente bistecche inferiori al chilogrammo di peso – con mille e più eccezioni legate al territorio. In Italia invece, “si fa a gara a chi ce l’ha più grande!”
COS’È LA PORTERHOUSE?
Per gli amici americani la porterhouse sarebbe una T-bone ma “più ricca di filetto”, perché iniziata a tagliare dalla porzione posteriore dello short loin o sirloin.
Le dimensioni del filetto tuttavia, che fanno la differenza tra una e l’altra, sono ancora oggetto di dibattito. Forse perché questi tagli vengono consumati in tutti i Commonwealth Countries, Irlanda, Stati Uniti d’America.
Le specifiche istituzionali per l’acquisto di carne del “Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti” stabiliscono che il filetto di un porterhouse deve essere largo almeno 1,25 pollici (32 mm) nel punto più abbondante, mentre quello di un T-bone almeno (13 mm).
Tuttavia, nel linguaggio britannico (le prime tracce risalgono al 1800) e nei Commonwealth – ma anche in Australia e Nuova Zelanda –“porterhouse” acquisisce il significato di “bistecca americana con l’osso senza il filetto”.
COS’È LA RIB EYE?
Più diffusamente chiamata ribeye, è anche sinonimo di entrecôte.
Parliamo di una bistecca prelevata tra la sesta e la dodicesima costola, prima dello short loin e più precisamente nel “Rib”.
Contiene soprattutto il longissimus dorsi ma anche i muscoli complexus e spinalis.
Senz’osso, in America è anche chiamata genericamente “Spencer”.
COME SI CUCINANO
Bene, siamo giunti al nocciolo della questione: come si cucinano questi tagli?
La risposta può essere semplice o complessa, a seconda di quante informazioni si vogliono apprendere.
Diciamo che tali bistecche si prestano soprattutto alle cotture veloci, su trasmissione diretta del calore, quindi al grill. La “morte” di questi tagli è l’uso dei barbecue a brace; senza nulla togliere, ovviamente, ai dispositivi BBQ a gas di alta gamma.
Non si commetta però l’errore di sottovalutare questo procedimento. In realtà, più è veloce, più è complicato azzeccarla. Inoltre, esiste una classificazione del grado di cottura che, per noi italiani, si suddivide in 3: sangue, media e cotta. Nei paesi più appassionati invece, sono almeno cinque.
È imperativo, almeno per chi non “cucina bistecche per mestiere”, usare il termometro sonda. Questo strumento ci permetterà di prevedere come apparirà il taglio anche senza “violentarlo” con una coltellata.
Risulta comunque necessario un pochino di esperienza, visto e considerato che la carne possiede la cosiddetta “inerzia termica”. Ergo: se tiro giù dal fuoco la bistecca a 47-48°C al cuore, essa continuerà a trasmettere calore dalla parte più esterna – quella a contatto con il calore di cottura – verso l’interno. Quanto? Dipende dallo spessore della carne, dall’intensità del calore esterno e dal tempo che ha impiegato per la cottura, dalla temperatura ambientale ecc. Si tratta di pochi gradi, da 2 a 4 circa, ma che possono fare una differenza abissale. Se da 47 passasse a 49°C, al cuore la bistecca sarebbe ancora dello stesso colore che da cruda; se da 48 passasse a 52°C, già cambierebbe.
“Sacrilegio” per chi taglia la carne appena tirata giù dal barbecue! È imperativo lasciarla riposare eseguendo un “rest” di circa 10 minuti. Infatti, la carne “scottata” dal calore intensissimo della griglia è tesa, contratta, per azione delle poche fibre collagene in essa presenti. Avvolgendola in poco alluminio in fogli sarà invece possibile far sì che si rilassi, evitando l’effetto di “strizzamento” che farebbe fuoriuscire tutti i liquidi muscolari – se però avete scelto una carne poco frollata non aspettatevi un miracolo!
Comunque! Ricordate sempre di sottoporre il taglio al famoso rest di 10’ in alluminio e… buona fiorentina a tutti!
Parola dei BUTCHER!
Articolo scritto in collaborazione col dott. Riccardo Borgacci, Web Senior Content Editor e Seo Copywriter, specializzato in Dietistica, Personal Training, Cucina.
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