Sapere, saper fare e saper essere ‘Macellai’
Un ricordo di Aldo Focacci e un tributo al quinto quarto
Sapere, saper fare e saper essere macellai
di Andrea Laganga
Ciò che siamo oggi lo dobbiamo a chi ci ha preceduto, con la volontà di fare, di perseverare con passione e sacrificio. La mia storia, sicuramente come per parecchi di voi, nasce da una passione tramandatami dalla mia famiglia, vissuta fin da piccolo, quando ancora non arrivavo nemmeno al bancone.
Ma la passione di raccontare la devo a un’altra persona, una figura importante per la categoria nazionale dei maestri delle carni. Mi riferisco al grandissimo DOTT. ALDO FOCACCI, a lungo direttore dell’ordine dei veterinari e per molti anni direttore del mattatoio grossetano.
Eccezionale penna per gli addetti ai lavori nel mondo della carne, sempre aggiornato su tutto ciò che il “futuro” poteva proporre alla categoria, per noi macellai grossetani Focacci non era visto come il “cattivo che veniva a fare multe nelle macellerie” ma come un amico.
Con il suo rigore e la sua passione, Aldo Focacci sapeva trasmettere la voglia di fare e la sua saggezza dava valore aggiunto al nostro sapere, al nostro saper fare e saper essere macellai. Data la mia giovane età, non ho potuto viverlo a pieno, ma i racconti di babbo Beppe su di lui sono quelli per una persona cara e importante. Se sono macellaio oggi lo dobbiamo anche alla sua autorizzazione firmata nel lontano 1975 per il rilascio della licenza di spaccio di carni fresche della Macelleria Laganga. Ho avuto però la fortuna di vivere i racconti di quel veterinario oramai in pensione, ma sempre giovane di spirito, che prima di acquistare i suoi tagli di carne aveva il piacere di sedersi dietro, nel nostro laboratorio, per raccontare a noi giovani macellai (io, mio fratello Marco e mia sorella Serena) la sua idea del mondo della carne.
Uno dei suoi pensieri più frequenti era legato al vero tesoro del maestro delle carni, ovvero il quinto quarto animale. Secondo il suo pensiero la nostra professione si distingueva proprio dalla capacità di saper lavorare tutti i prodotti ricavati dalla macellazione dell’animale. Elemento importante sia dal punto di vista professionale, che etico che per gli aspetti legati alla cultura gastronomica popolare. Pensare oggi a quelle parole dette da un veterinario di grande esperienza fa riflettere sulla lungimiranza dimostrata.
Ma che cos’è il quinto quarto?
Dopo la macellazione bovina, ovina, equina, suina e caprina, data la taglia dell’animale, si suole dividere la carcassa in mezzene e queste ultime nei cosiddetti quarti. Quindi l’animale si scompone in quattro quarti. Viene chiamato quinto quarto l’insieme dei componenti poveri del macellato: testa, interiora, coda e organi.
Tutti gli animali hanno un quinto quarto ma il suino ne ha addirittura un sesto, pregiatissimo: il sangue, con il quale si realizzano i sanguinacci.
Si sa, le abitudini alimentari sono cambiate, e fra i tanti alimenti andati perduti sicuramente vi rientrano quelli ricavati proprio dal quinto quarto. Ma se ci fermiamo a riflettere e a scavare nel nostro passato, nella nostra cultura e nelle nostre tradizioni, possiamo trovare pagine e pagine di ricette culinarie dedicate interamente a questi tagli.
La risposta è semplice: perché fin dall’antichità i tagli più pregiati dei quarti erano destinati all’alimentazione dei nobili e dei ricchi, mentre il quinto quarto serviva per sfamare la povera gente. Con questa parte rimanente sono state inventate le ricette e i piatti più particolari, dal gusto inconfondibile… Pensate solo alla trippa cucinata alla fiorentina o alla romana, ai carretti fiorentini di lampredotto, al fegato alla veneziana e a tutte le proprietà in esso contenute (ferro, sali minerali e vitamine a volontà), alla lingua in salmì, ai rognoni trifolati emiliani e al cervello di vitella cucinato dalle nostre nonne per farci crescere sani e belli, lo zampo, la coda alla vaccinara…
Antiche invenzioni che però stanno ritornando di moda grazie a saggi chef che hanno rispolverato storiche ricette, resuscitando il valore delle tradizioni, con basso costo d’acquisto ma elevato prezzo sui menù dei ristoranti. Un’intuizione vincente direi, visto che le persone sono ben disposte a sborsare molte decine di euro per vivere emozioni al ristorante invece di acquistarle in macelleria a prezzi ragionevoli.
Forse tutto questo andrebbe etichettato come un’altra vittoria del ristoratore e dello chef sul macellaio, il cui sapere ancora una volta viene messo in ombra quando invece dovrebbe essere alla base della collaborazione tra le professioni alimentari in cui entra in gioco la ciccia.
In conclusione, dobbiamo solo ammettere che già molti anni fa, le previsioni del nostro dottor Focacci erano veritiere.
Il macellaio non deve mai dimenticare le proprie origini e il proprio passato. Solo con la nostra storia potremmo difenderci e sopravvivere nella giungla del mondo alimentare, rimanendo punti di riferimento indispensabili nella la cultura carnivora.
Parola del BUTCHER!
Andrea Laganga
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